Tradizionalmente saluta l’arrivo della primavera. Si svolge la vigilia della festa dedicata a San Giuseppe. Una cavalcata lungo le strade del paese alla luce di grandi falò. In ricordo della fuga in Egitto della Sacra Famiglia, apre il corteo un asinello su cui si trovano la Madonna e il piccolo Gesù, trainati con una corda da un vecchio San Giuseppe. Seguono decine e decine di cavalli bardati con fiori particolari, tra cui le violaciocche, “u balucu” nel dialetto sciclitano. L’originalità della festa è appunto il modo in cui sono rivestiti i cavalli: l’addobbo floreale, infatti, riprende disegni e riproduzioni tratti dalla vita del Santo o del paese. La Cavalcata si snoda per il centro storico e al suo passaggio si accendono i “pagghiara”, grandi falò preparati dalla gente allo scopo di riscaldarsi e preparare poi degli arrosti. Quando passa la Cavalcata la gente grida “Patrià…Patrià… Patriarca!”, e si sente un grande scampanio di campanacci legati al collo di muli e cavalli. Ogni cavallo ha un proprio gruppo di fedelissimi che lo dirige e controlla, una sola persona sale in groppa. I gruppi sono in abiti tipici sciclitani: pantaloni di velluto, gilet scuro su camicia bianca a maniche rimboccate, una larga cintura da cui pende un fazzoletto rosso; sulla testa una “burritta co’ giummu” e in bocca una pipa di canna o di argilla.
La festa si tramanda da secoli ed ha attirato l’attenzione di grandi scrittori. Elio Vittorini ne parla nel suo “Conversazione in Sicilia”.